INTERVISTA

Intervista con Lama Ole Nydahl e Caty Hartung
Praga, 31 dicembre 2010


D: La morte è un argomento poco amato dalla maggioranza delle persone. Perché avete scritto questo libro?
 
Lama Ole: Al presente, considerando tutto il mondo, il Buddhismo tibetano possiede un grande sapere ineguagliabile in questo campo. Offre delle incredibili possibilità di approfondimento che riguardano il processo della morte e spiega cosa accade dopo, sia durante il periodo in cui la mente digerisce le impressioni che ha immagazzinato sia poi quando si reincarna in un essere umano o in qualche altra forma in altri reami. Anche la cristianità riconosce sette settimane di Quaresima prima di Pasqua, ma il Buddhismo della Via di Diamante spiega inoltre i processi psicologici che si mettono in atto e ci dice come possiamo portare gli esseri verso le migliori rinascite possibili.
 
D: Si tratta di una conoscenza molto avanzata. E’ un libro scritto soprattutto per il grande pubblico, per i buddhisti o solo per i tuoi studenti?
 
Lama Ole: A un certo punto moriamo tutti, quindi tutti dovrebbero essere in grado di usare questo libro. Alcune persone lo leggeranno più che altro per informarsi su come aiutare la famiglia o gli amici in quelle situazioni che si presentano nel momento in cui la vita volge al termine. Altri si rivolgeranno a uno dei nostri centri della Via di Diamante per degli approfondimenti e per ottenere delle informazioni pratiche relative ai nostri corsi sul 'morire in modo consapevole' (tib.: phowa). Si tratta di insegnamenti che proponiamo una dozzina di volte all’anno in tutto il mondo, nei paesi liberi dal punto di vista religioso, e sono già migliaia le persone che hanno ottenuto dei risultati eccellenti. Qualsiasi tipo di esperienza, conoscenza e comprensione in questo ambito è estremamente importante, dato che all'oggi la morte è un buco nero nella nostra consapevolezza collettiva: o le persone hanno un credo e possono essere influenzate oppure cercano di non pensarci.
 
Caty: La prima metà del libro è scritta in un modo che possa essere di aiuto a tutti. Non c’è bisogno di essere buddhisti per trarne del beneficio.
 
D: Puoi parlarci della struttura del libro? Come è organizzato dal punto di vista dei temi?
 
Caty: Il libro ha nove capitoli. Nel primo capitolo spieghiamo il contesto scientifico contemporaneo per quel che concerne la morte e il processo del morire. Il secondo presenta il Buddhismo in generale – gli insegnamenti sul rifugio, il karma, etc. Nel terzo capitolo descriviamo cosa possiamo vedere quando qualcuno muore e come possiamo migliorare le condizioni esteriori che fanno di contorno alla persona che sta morendo, incluse quelle situazioni alle quali le persone vanno incontro e che possono essere loro di aiuto.Nel quarto capitolo di fatto ci concentriamo sul processo del morire. Lo descriviamo dall’interno, cosa ci accade quando moriamo. Il quinto tratta di come aiutare la persona che sta morendo e di come applicare qui le sei paramita, cioè le sei azioni di liberazione. E poi c'è quello che per me è il capitolo più importante: come usare il processo del morire e la morte stessa per evolverci. Questo è il motivo chiave del libro, il perchè lo abbiamo scritto e  perché l’abbiamo strutturato così come effettivamente abbiamo fatto.
La morte non è il peggior momento della vita. E’ una possibilità, una grande opportunità – un’opportunità per la quale ci dovremmo preparare e alla quale guardare con entusiasmo. Se siamo buddhisti, è la nostra possibilità di raggiungere l’illuminazione. Questo è l’apice del libro: rovescia completamente la visione del lettore, mostrandogli nuove prospettive.
 
D: Ci puoi dire qualcosa di più su questo capitolo?
 
Caty: Questo punto di svolta è la cosa più speciale del libro di Lama Ole. Raramente questo ottimismo viene espresso così chiaramente. L’intero libro ha questo come tema centrale, cioè che il momento della morte è di fatto una grandiosa opportunità per coloro che sono in grado di controllare la propria mente.
 
Lama Ole: Stavamo pensando di usare come sottotitolo “La morte usata come via”. L’ottimismo è espresso con così tanta forza perché l’ho vissuto io in prima persona in una circostanza di pre-morte, che corrispondeva perfettamente a quanto i nostri alti lama ci hanno insegnato. La loro descrizione di una condizione di terra pura è confermata dalla mia stessa esperienza.
 
Caty: Lama Ole è l’esperto sul processo della morte. Insegna il phowa ogni anno a migliaia di persone, e questo metodo viene applicato nella morte.
Dopo il sesto capitolo arriviamo agli insegnamenti sul bardo. Bardo significa un periodo di transizione e si riferisce a quel momento tra la morte fisica e la rinascita. Questo capitolo descrive come il processo della morte effettivamente non sia finito ma prosegua. Se non abbiamo ancora usato la nostra prima opportunità mentre stiamo morendo, ci sono delle possibilità che arrivano dopo. Abbiamo fissato un decorso temporale che mostra i momenti adatti in cui mettere in atto la pratica del phowa.
Nell’ottavo capitolo andiamo più in dettaglio e descriviamo le diverse forme di phowa, le possibilità che ci danno e cosa aspettarci durante un corso di phowa. Nel nono parliamo degli insegnanti che Lama Ole ha incontrato e di come sono morti. Il libro termina con la morte del XVI Karmapa.
 
D: Per coloro che semplicemente incappano in questo libro senza sapere niente sul Buddhismo – come dovrebbero leggerlo?
 
Lama Ole: Penso che dovrebbero leggerlo capitolo per capitolo, prendendosi il tempo necessario. Oppure dando un’occhiata generale la prima volta che lo prendono in mano, per poi avvicinarsi un po’ di più ai contenuti che richiamano la loro attenzione. E’ un libro pratico per imparare come morire. Crescerà rigoglioso nella profondità della mente.
 
Caty: Se qualcuno sa di dover morire presto può limitarsi a leggere il quarto capitolo. Se veniamo a sapere che nostra madre morirà presto, allora rileggeremo i capitoli tre e cinque. In quei momenti non abbiamo bisogno di rileggerci tutte le 200 pagine. Prendiamo una scorciatoia per raggiungere la conoscenza che ci serve. Abbiamo composto il libro appositamente per questo scopo.
 
D: Negli ultimi anni un paio di lama tibetani hanno pubblicato dei libri su questo argomento. E’ disponibile anche una traduzione del Libro tibetano dei morti. Qual è il tuo contributo specifico sull’argomento? In cosa si differenzia il tuo libro dagli altri?
 
Lama Ole: La prima cosa da sapere è che il comune Libro tibetano dei morti è solo per le persone che hanno ricevuto un’iniziazione specifica che si chiama shitro. Si tratta di un’iniziazione negli aspetti buddhici che si manifestano quando moriamo, quarantadue pacifici dal nostro cuore e cinquantotto che potremmo definire critici dal nostro cervello. Tuttavia, senza questa rara iniziazione non faremo esperienza delle molte forme che vengono descritte nel libro. Ci saranno invece raffiche di vento, rumori fragorosi o luci intense mentre i nostri confini emotivi e intellettuali si dissolveranno. Le persone devono sapere che in generale non possono aspettarsi di incontrare delle immagini di tali forme, e che invece potrebbero sperimentare il contenuto del proprio subconscio attraverso delle immagini derivanti dalla loro ultima vita.
 
Caty: Credo che la grande differenza sia il fatto che il contenuto è comprensibile. Ho letto la maggior parte dei libri relativi a questo tema che si trovano in circolazione e ci sono così tanti dettagli che sono difficili da capire. Abbiamo reso l’argomento avvicinabile per i comuni occidentali e per i buddhisti. Lama Ole riesce a ispirare la mente moderna a usare la vita e la morte per praticare e crescere.
 
D: Da quello che mi risulta avete usato tantissimo materiale scientifico.
 
Lama Ole: Sì, tra i diversi medici che hanno osato andare al di là della generica visione materialistica secondo cui il cervello è il creatore della mente, Pim Van Lommel, un medico specialista nelle cure palliative, ha scritto Consciousness Beyond Life: The Science of the Near-Death Experience. Lui e le sue scoperte sul fatto che la consapevolezza può esistere senza un corpo sono molto importanti. Lo potete trovare in internet.
Per molto tempo la scienza ordinaria ha dato per scontato che fosse il cervello a produrre la mente, ma Van Lommel prova che la mente può esistere senza un cervello funzionante. Descrive molti casi relativi a persone clinicamente morte e prive di qualsiasi funzione cerebrale. Una volta riportate in vita queste stesse persone hanno descritto quello che era accaduto nella stanza mentre loro erano morte, solitamente come se avessero assistito a tutto dal soffitto. Per questo motivo ora spesso vengono collocate delle grandi immagini sugli scaffali, per vedere se le persone se le ricordano. E’ importante distinguere se sanno direttamente cosa è presente, o se sanno qualcosa solo quando anche un’altra persona che si trova nella stanza ne è a conoscenza.
 
D: I non buddhisti che leggono il libro pur senza seguire l’idea di una vita dopo la morte possono trarne beneficio? C’è per esempio un consiglio su come affrontare il processo della morte anche se non si vuole praticare il Buddhismo?
 
Lama Ole: Sì. Naturalmente tutti vivono lo stesso processo. Tuttavia sarebbe come leggere il menu quando mangiare non rientra nelle nostre intenzioni.
 
Caty: Credo che conoscere il processo della morte ci aiuterà nel momento in cui moriremo. Non abbiamo una conoscenza di questo tipo nella cultura occidentale. Nessuno descrive il modo in cui si dissolvono gli organi e cosa proviamo mentre accade. Anche se non crediamo nella rinascita, ci aiuterà comunque ad essere più rilassati mentre moriamo.
 
D: Qual è il messaggio centrale? Cosa sperate che i lettori ricordino dopo aver letto il libro?
 
Lama Ole: Che chi in generale ha vissuto una buona vita non deve aver paura. Può pensare apertamente al processo e renderlo parte della propria vita. Le culture in cui la morte è vista come un flusso naturale o una continuazione della vita sono meno nevrotiche delle nostre. Non hanno questo grande punto di domanda che riguarda la fine della vita. Hanno un sentimento olistico delle cose, come le stagioni in natura: siamo nati, viviamo, moriamo, rinasciamo. Credo che sia molto rassicurante.
 
D: Diresti che procurarsi delle informazioni su questi processi abbia già un effetto di pacificazione sulla mente e diminuisca la paura della morte?
 
Lama Ole: Assolutamente sì! Essere ansiosi su ciò che accade alla fine della vita è come portarsi dietro un peso costante.
 
Caty: Inoltre, mettere in pratica gli insegnamenti su causa ed effetto improvvisamente ha più significato.
 
Lama Ole: E diventiamo molto riconoscenti.
 
D: Questo libro è un progetto durato vent'anni. Avete lavorato su questo libro a partire dagli anni ’90. Perché ci avete messo così tanto?
 
Lama Ole: Oh, sai, il solito! Durante questo arco di tempo abbiamo scritto dieci altri libri, fatto partire 600 centri di meditazione della Via di Diamante, facendo contemporaneamente il giro del mondo due volte all’ anno (ride). E poi all’epoca non avevamo un editore. Improvvisamente ne abbiamo trovato uno che sa quanto è importante questo argomento.
 
Caty: Prima non avevamo neanche così tante esperienze dalle quali attingere.
 
Lama Ole: Molta crescita umana e le ultime scoperte scientifiche non sarebbero state altrimenti incluse nel libro.
 
Caty: Gli insegnamenti dovevano diventare più chiari, dato che è una materia così complessa. Leggendo l’intero libro vi renderete conto delle varie possibilità di interpretazione di questi insegnamenti. Avevamo bisogno dei nostri stessi processi ed esperienze per essere in grado di spiegare in modo chiaro. Anche se Lama Ole è l’esperto occidentale, doveva riunire, tradurre e condividere le informazioni in un modo che palesasse le fonti tibetane e che allo stesso tempo fosse comprensibile per le menti occidentali. Questo è stato l’evolversi.
Si sono riunite molte condizioni che hanno permesso che il libro fosse completato. L’incidente di Lama Ole, la morte prematura di Hannah, le conversazioni con Sherab Gyaltsen Rinpoche e il Professor Sempa Dorje, etc.
 
Lama Ole: Ci siamo presi una grande responsabilità con questo tema. Questo significa dover essere sicuri.
 
Caty: Non sarebbe neanche stato utile pubblicare questo libro subito dopo il grande successo avuto da Sogyal Tulku. Se un libro con delle informazioni più concise e dei metodi arriva dieci anni più tardi, le persone sono più pronte ad accoglierlo. Se Lama Ole avesse pubblicato questo libro subito un anno dopo, nessuno l’avrebbe letto. Credo che ora sia un buon momento perché esca qualcosa di nuovo e pratico.
 
D: Lama Ole, sei un lama che lavora con la morte e il processo della morte e i metodi buddhisti collegati alla morte. Come sei arrivato a interessarti a questo argomento? Dove e da chi hai imparato? Quali sono le tue fonti per gli insegnamenti che stai dando?
 
Lama Ole: In realtà era l’auspicio del nostro lama, l'eccezionale XVI Karmapa. All’inizio del 1971 diede un’importante iniziazione in Liberatrice, una forma verde a otto braccia, che si chiama Dolma Naljorma; per gli yogi è la Liberatrice. Fu un evento insolito e la gente arrivò da ogni dove per partecipare. Il Karmapa prese la forma di una affascinante sedicenne verde mentre dava questa iniziazione. Hannah e io sedevamo proprio davanti e ne fummo spazzati via.
Il mattino dopo il Karmapa disse: «Dovreste imparare il phowa da Ayang Tulku, che ha un buon lignaggio di trasmissione per questa pratica. E’ qui per l’iniziazione e glielo dirò».
Ma come prima cosa dovevamo tornare a casa per guadagnare dei soldi. Lavoravamo per ricostruire i mobili di una scuola per bambini problematici la sera, e insegnavamo in un’altra scuola durante il giorno. Una volta, mentre durante una mezzora di pausa stavo meditando da solo, ho pensato: «Adesso abbiamo i soldi e abbiamo bisogno di un segno che ci dica dove andare». In quel momento alcuni bambini sono passati attraversando la stanza e camminando lentamente portavano una grande cartina con il profilo dell’India, sulla quale c'era stampato solo un nome. All’estremo sud del paese risaltava un pallino con ‘Bangalore’ dove la B era scritta senza il trattino, come una M verticale, e quindi poteva significare sia Bangalore che Mangalore. Era quello che stavo sperando. C’è una strada che va da Bangalore a Mangalore attraverso la zona sud dell’India, e lì si trova un grande campo di profughi tibetani dove eravamo stati invitati qualche giorno prima da Ayang Tulku. 
L’invito riportava anche un elenco di cose che l’economia nazionalizzata dell’India non era in grado di produrre, e come conferma finale una descrizione del percorso segreto che dovevamo fare per raggiungere questo campo. Il giorno dopo arrivò un pacchetto di pillole nere spedito dal Karmapa. Queste piccole pillole nere portano la sua benedizione diretta. Tutte le condizioni dicevano «Andate».
Atterrammo a Bombay all’inizio di gennaio; prendemmo diversi treni diretti al sud e passammo un periodo di apprendimento con Ayang Tulku, imparando bene e in modo estensivo. Io ottenni il segno già nella prima sessione. Non appena sentii i suoni per andar su, ero già pronto per andare. Fu simile a un’esperienza che Hannah ed io avevamo avuto con uno yogi vicino al campo base nella zona himalayana, e facevo fatica a credere che potesse essere così veloce. Toccandomi la sommità della testa  trovai del sangue ma comunque pensai: «Non può essere giusto, ho sempre combinato così tanti casini. Non può succedere così velocemente». Andammo avanti, e poi Hannah ottenne un bel segno.
Prima praticammo nel campo base dei rifugiati, ma gli indiani non accettavano la presenza di stranieri, mentre invece i cinesi rivendicavano il fatto che i rifugiati fossero dei criminali; avrebbero voluto rimandarli indietro per imprigionarli. Questo è uno dei motivi per i quali erano state istituite tredici colonie di tibetani sia giù a sud, a Bylakuppa, sia verso il nord, a Mundgod, a un'ora o due da Bombay viaggiando in autobus nell'entroterra. In queste due aree trovarono una sistemazione i rifugiati tibetani arrivati con la seconda ondata, quella per sfuggire alla rivoluzione culturale in Cina. Se fossimo rimasti lì avremmo procurato dei fastidi ai nostri amici, che già avevano abbastanza guai per conto proprio. Quindi praticammo in una casa umida nel vicino villaggio, che aveva un nome di buon auspicio: Kushinagar - la città della felicità, lo stesso nome del posto dove morì il Buddha.
Da lì ci trasferimmo poi a Mundgod, la colonia al nord. Il campo era completamente recintato, quindi presto alla mattina dovevamo intrufolarci aggirando la polizia ancora addormentata. Rimanemmo lì per circa un mese; tristemente a causa di un'epidemia di tubercolosi era il posto giusto per condividere ciò che avevamo imparato. Ovunque i tibetani stavano morendo a causa di questa brutta malattia: arrivavano in India con i loro polmoni d'altopiano, che vivendo tra i quattromila e i seimila metri d'altitudine possono assorbire quattro molecole di ossigeno su quattro. Ad altitudini più basse avevano bisogno di una molecola su quattro e quindi non respiravano mai profondamente. Non avevano difese immunitarie contro questa malattia e di conseguenza moltissimi morirono. Hannah stava migliorando il tibetano in quel periodo e viaggiava con Ayang Tulku dando spiegazioni e iniziazioni. Io seguivo a pochi giorni di distanza e completavo la loro pratica del phowa. Erano toccanti con la loro riconoscenza.
 
D: Quindi avete praticato il phowa per un mese intero?
 
Lama Ole: Si, ogni giorno. A volte i tibetani davvero mi sconvolgevano con la loro fiducia. Ricordo un caso in particolare, un omaccione affetto da elefantiasi. Gli dissi di andare all'ospedale - c'era effettivamente un piccolo ospedale cooperativo di stile danese funzionante grazie a fondi occidentali. Rifiutò categoricamente: «No, andrò a imparare il phowa. E' la mia possibilità e comunque un giorno morirò». Lo vidi poi all'ospedale dopo che aveva avuto il suo bel segno. Sopravvisse. E noi con i nostri zaini passammo davanti al check point e i soldati indiani quasi si storsero il collo nel tentativo di non vederci.
 
D: Ora sei un detentore di questo metodo particolare che si chiama Phowa, o morire consapevolmente. Potresti in breve dirci di cosa si tratta?
 
Lama Ole: mentre siamo in vita è difficile lasciare il corpo perchè le sue impressioni sensoriali si aggrappano alla mente. Ma se la benedizione della trasmissione è sufficientemente potente e se l'insegnante è convinto di stare condividendo qualcosa di buono e di significativo, quasi tutte le persone ce la fanno ad aprire il canale centrale che attraversa il corpo. E' importantissimo perchè, a meno che alla nostra moto non capiti di incrociare qualcosa a velocità elevata liberando all'istante la mente dai canali di energia nel corpo, la mente uscirà attraverso una delle aperture fisiche: una della sette nella testa o, in casi molto difficili, attraverso una delle aperture inferiori. (Notate che il rilassamento al momento della morte del quale solitamente parliamo, che a volte provoca uno svuotarsi del colon e della vescica, è indipendente da questo).
Da quello che so a proposito della sua morte, Stalin lasciò il corpo da una delle uscite inferiori, cosa prevedibile. Quando la coscienza fugge passando da una delle aperture biologiche la persona porta via con sé le proprie impressioni e di conseguenza il proprio karma, vale a dire tutte le esperienze piacevoli ma anche il bagaglio pesante.
Se è stato aperto mediante il phowa lo scorrere dell' energia al di là del personale che è nel nostro corpo, allora il flusso di coscienza prosegue sgombro dalle impressioni e totalmente gioioso e consapevole. In questo caso non ci si porta dietro niente, lasciamo indietro tutto il karma e tutte le impressioni del subconscio, tutti i blocchi e gli ostacoli, che invece rimangono nei canali di energia condizionati dal corpo e non vanno a influenzare il rilascio dal corpo. Le limitazioni riunite attraverso le esperienze abituali di un mondo condizionato scompaiono nei campi di energia dei buddha  e, dato che con questo le emozioni di disturbo scompaiono, ora il lavoro è quello di affrontare le idee rigide stando nelle terre pure.
 
D: E' necessaria una preparazione di un qualche tipo per partecipare a un corso di Phowa da noi oggi?
 
Lama Ole: Più si è preparati, e più vivamente consapevoli si è, più piacevole e fluido è il risultato. Il nostro consiglio è quello di fare 100.000 mantra 'Om ami dewa hri' come preparazione aprendosi al Buddha rosso e alla sua condizione di gioia sopra alla testa di chi pratica. Questo cambia totalmente la sensazione della pratica che facciamo durante il corso. Quando le persone non hanno alcuna relazione con questo Buddha, e io faccio il Phowa per loro, solitamente arrivano a un loto 'chiuso' fino a quando non hanno imparato a pensare in modo astratto. A quel punto allora il loto si apre, vedono il Buddha e inizia il loro vero sviluppo.
 
D: Se le persone leggono questo libro e acquisiscono fiducia anche se non ti hanno mai incontrato, cosa può succedere in quell'ultimo momento se non ci sono buddhisti nelle vicinanze?
 
Lama Ole: Se lo vogliono otterranno un aiuto. Andiamo là dove dirigiamo la nostra mente, ovunque sia. La mente è spazio libero, non ostruito e non importa su cosa ci concentriamo: questa cosa si manifesta. Il libro crea un uncino per qualsivoglia anello le persone abbiano a disposizione. L'anello è l'apertura della persona, l'uncino è la benedizione della terra pura, cioè il campo di energia con il quale ci mettiamo in contatto e nel quale entriamo. E' sempre così.
 
Caty: E le persone che stanno già praticando praticheranno ancora di più perchè capiscono l'opportunità che hanno a disposizione e che è meglio essere preparati.
 
D: Avete parlato anche di esperienze pre-morte. Potete dirci qualcosa di più al proposito?
 
Lama Ole: Le esperienze pre-morte sono dei promemoria occasionali del fatto che la mente non è prodotta dal cervello bensì viene trasformata dal cervello. C'è un caso in cui le informazioni sono state malauguratamente perse. E' un caso accaduto in Norvegia: una donna stava sciando quando è scivolata in un fiume ed è finita sotto lo strato di ghiaccio. Se ricordo correttamente, è rimasta in quella condizione per sette o otto ore e quando è stata ritrovata la sua temperatura corporea era scesa a tredici gradi Celsius. E' stata riscaldata e riportata in vita e il danno al cervello era talmente basso che solo i collegamenti nervosi con le caviglie erano più deboli; tutto il resto era in perfette condizioni. La donna descrisse le sue esperienze al medico, che le trascrisse, proprio come fa un bravo medico. Ma quando poi lei se ne andò il dottore pensò che si trattasse di roba bizzarra e buttò via quanto aveva trascritto. Di conseguenza del vero e proprio materiale di prima mano è andato perso.
 
D: Ma tu stesso hai vissuto un'esperienza vicinissima alla morte.
 
Lama Ole: Come già ho detto, ho avuto un incidente durante il quale per poco non muoio. I polmoni collassati, l'anca rotta, le ossa del femore destro che richiamavano un capolavoro dell'arte cubista. Diciamo che non ero esattamente in perfetta forma.
E nelle stesse ore morì un mio amico. Un obiettore di coscienza in servizio fece manovra in retromarcia con un camion Volkswagen conficcando un'asta di metallo attraverso la testa  del mio amico che si trovava a passar di lì. Si trattò di morte celebrale, non di morte cardiaca. In quanto lama della sua famiglia ho chiesto cosa potevo fare; sapevo che la donazione di organi era un tema tranquillamente affrontato tra di loro, e che tutti i membri della famiglia erano d'accordo nel ritenerla una cosa giusta. Quindi chiesi di essere informato e mi dissero che l'espianto sarebbe stato fatto alle 6,30 di mattina.
 
Caty: Lama Ole si trovava in terapia intensiva in quei giorni.
 
Lama Ole: L'intera situazione era insolita, e mandare questo amico nella terra pura del Buddha di Luce Illimitata si trasformò in un'esperienza colossale. Mi ritrovai all'interno di una grande statua che in qualche modo mi ricordava la gigantesca statua di Bismark che c'è a Amburgo. I muri erano di un bel color rosso borgogna, un colore profondo, era come essere circondati da muri di mattoni rossi. La mente del mio amico era come un pallone ovale di quelli usati nel football americano e io la tenevo sotto il braccio. Volando verso l'alto aprii un'apertura nella testa della statua e vidi della luce ma questa apertura si richiuse immediatamente. Lo rifeci molte volte e con stupore sempre crescente - non era mai capitato prima. Portare su le persone morte era sempre stato facilissimo e quello che stava succedendo era stranissimo. 
Mi rilassai per un'ora per vedere cosa sarebbe successo. Poi tornarono Hannah e Caty e mi dissero che l'orario era cambiato, l'espianto sarebbe stato alle otto. Che sollievo! Se lo avessi portato fuori alle sei di mattina i suoi organi sarebbero stati sprecati. Alle otto arrivarono gli elicotteri per prelevare gli organi e portarli ai diversi pazienti, quindi ora era tutto perfetto. Con gioia vidi la sommità della testa che si apriva e sul percorso notai che il mio Buddha rosso - Opagme in tibetano, Luce Illimitata per noi - era in piedi invece che seduto. Salendo attraverso il suo spazio rosso burgundi portati il mio amico fino al centro del cuore nel mezzo del suo torace.
Poi seguì un periodo di tempo del quale non conservo ricordo perchè la gioia era troppo forte. La prima esperienza successiva che ricordo fu quella di trovarmi al fianco destro di Opagme girato a guardare il suo profilo. Somigliava tantissimo a Shamarpa, e io pensai: «Adesso che sono nella terra pura dò un'occhiata intorno».
Dopo essere stato ovunque e aver sperimentato le cose più incredibili - proprio come in vita dal punto di vista del voler essere un protettore - a un certo punto seppi che dovevo tornar giù, altrimenti non avrei avuto più niente al quale tornare. L'ultima cosa che vidi furono degli insetti che si cibavano di germi che causano malattie. E poi fui di nuovo nel mio corpo steso nel letto in ospedale.
 
D: Perchè sei tornato? Ci sarà stata una qualche motivazione particolare.
 
Lama Ole: il pensiero di rimanere non affiorò mai. Arrivavo consapevolmente da questo mondo, ero andato nella terra pura ma dovevo tornare perchè c'era ancora tantissimo da fare. Questa comprensione era chiara.
Quella era stata la mia esperienza più significativa fino a quel momento, e tutte le volte che ne parlavo ripetevo: «Non potete sapere la bellezza che ci aspetta!».
L'ospedale non aveva mai avuto un paziente come me e io resi il lavoro dei dottori molto difficile. Tutti dicevano: «Oh che male, mi fa male qui e là», mentre io dicevo: «Oh siete fantastici, fate tutto così bene, avete dei rapporti di lavoro ottimi...». Semplicemente protraevo l'esperienza della terra pura, che rende impossibile avere un'idea chiara della malattia.
 
D: Perchè le persone hanno così tanta ansia riguardo alla morte se è così promettente?
 
Lama Ole: Dipende. Non credo che Stalin trovò promettente la condizione priva del corpo. E neanche Mao Tse-Tung secondo me l'ha trovata piacevole. E non credo che Hitler, Khomeini o i bomber suicidi e quelli che sopprimono le donne si godano quella condizione. Parliamo di fare l'esperienza di ciò che è contenuto nella nostra mente, i risultati della nostra motivazione e le azioni quotidiane che da lì si manifestano. Quando le impressioni sensoriali non distraggono più le persone, gioia e dolore sono smisuratamente più forti - e durano di più - di qualsiasi cosa noi conosciamo o riusciamo a immaginare. In questo ambito ogni connessione verso qualcosa che va al di là del personale è il migliore amico; e soprattutto se abbiamo aperto l'asse energetico centrale nel corpo grazie al phowa e possiamo uscire dalla sommità della testa, raggiungiamo la gioia senza alcun bagaglio pesante.
 
D: Che cos'è la morte dal punto di vista buddhista?
 
Lama Ole: E' trasformazione. La mente è consapevolezza e energia infinite, ma data la sua incapacità di sperimentarsi come parte di una totalità si attacca a vari stati condizionati generando i sei reami che dipendono ognuno dalla prevalenza di orgoglio, gelosia, attaccamento, confusione, avidità o odio. Può però anche farci raggiungere la liberazione o persino l'illuminazione grazie alle qualità nobili e preziose che sono l'essenza senza tempo della mente. Quindi nel migliore dei casi da tempo senza inizio ci siamo spostati ininterrottamente da un universo o esistenza alla successiva. Quando la nostra costituzione fisica si è consumata appare una situazione intermedia e entro sette settimane matura il successivo mondo di esperienza, con o senza un corpo fisico.
 
D: Questo accade a tutti, buddhisti e non buddhisti?
 
Lama Ole: Si, succede a tutti gli esseri. Il punto è se conosciamo il processo, abbiamo un rifugio convincente e possiamo lavorare con la situazione o meno. Tutto lì. Proprio come tutti quanti hanno una faccia, indipendentemente se si guardino allo specchio o meno.
 
D: I buddhisti in generale non hanno poi così tanta paura della morte. Perchè?
 
Lama Ole: Innanzitutto abbiamo meno paura delle cose che riusciamo a capire, è quanto non conosciamo che ci spaventa. Nel Buddhismo abbiamo molti insegnamenti che spiegano la morte; variano a seconda di cosa lo studente è in grado di comprendere, ma è sempre lampante che la mente è spazio indistruttibile e che non c'è nessun buco nero a attenderci. Il Buddhismo della Via di Diamante spiega l'intero processo della morte e della rinascita sia sul livello del subconscio sia sul livello cosciente, a partire dallo scomparire delle nostre impressioni sensoriali fino al momento della nostra rinascita, quando entro un periodo di sette settimane la nostra tendenza mentale più forte è maturata e diventa la nostra nuova vita.
 
Caty: Al giorno d'oggi le persone hanno ancora più paura di morire. La morte è raramente integrata con la vita, mentre un tempo si moriva circondati dalla famiglia o dagli amici. Ora generalmente si muore all'ospedale, e a prendersi cura di tutto, aiuti e cure, sono le persone che ci lavorano. Spesso i cadaveri vengono portati fuori dall'ospedale di notte, così nessuno li vede. Le persone sono timide o imbarazzate nel parlare con la persona che sta morendo. Morire è diventato più 'disumano' e vengono a mancare le vere informazioni su quello che è il processo del morire. La separazione della vita dalla morte produce la paura dell'ignoto nelle società moderne, e questa è una tendenza che si è sviluppata nel corso dei secoli. A partire dagli anni Sessanta i ricoveri hanno cercato di sviluppare un approccio più umano, più adeguato alla persona che sta morendo, e i loro valori, la cura, la compassione, il sapere e l'aiuto che portano nella situazione che circonda il morente sono una grandiosa opportunità di invertire questo processo disumanizzante.
 
Lama Ole: Precisamente. Gli stadi e gli eventi che il Buddhismo spiega diventano convincenti quando si ha la possibilità di prendervi parte.
 
Caty: E' sbalorditivo sentire i tibetani che parlano della morte. Il nostro modo di comportarci quando muore qualcuno è molto emotivo, mentre per i tibetani è totalmente diverso. Quando il Karmapa parla di qualcuno che è appena morto la sensazione è molto naturale, non c'è dolore e non c'è afflizione. Per loro si tratta semplicemente del passo successivo, non c'è fine al ciclo della vita. La morte ne fa parte.
 
Lama Ole: Ciò che solitamente dico quando le persone guardano alla morte dal punto di vista della perdita personale è: «Non essere infelice quando qualcuno muore. Se si trattava di una persona buona sarà molto più felice ora rispetto a quando era nel proprio corpo. E se la persona era cattiva almeno adesso ha smesso di creare difficoltà e di accumulare ancora più sofferenza». La seconda parte della frase torna utile dopo un po' ma spesso non è la prima cosa da dirsi.
 
D: Come possiamo aiutare qualcuno che sta morendo se non siamo buddhisti o non abbiamo a disposizione i metodi buddhisti?
 
Lama Ole: Caty mi ha giusto suggerito all'orecchio che andrebbe letto il libro. E' un'ottima idea. E' stato divertente scriverlo con Caty, che è saggia, e credo che sarà molto utile grazie al nostro stile che è molto chiaro.
 
D: Molte persone credono che la morte sia la fine assoluta. Legano tra loro mente e cervello. Credono che non ci sia niente dopo la morte. Cosa dovremmo dire a queste persone?

Lama Ole:  Dite a queste persone che la mente è spazio e consapevolezza, cioè non è una cosa. Dite loro che di conseguenza la mente non è mai nata né può mai morire. L'impavidità emerge da questa visione intuitiva, e porta alla gioia spontanea per tutta la ricchezza contenuta nella vita e infine a una relazione significativa con l'ambiente.
A me e Hannah è successo in modo totalmente inaspettato di ritrovare un luogo e di riconoscere di essere vissuti lì nella vita prima di questa, direi che è irresistibile, soprattutto se il proprio lama di questa vita nel 1924 è nato proprio in quello stesso luogo e lì e cresciuto.
 
D: Possiamo influenzare le nostre prossime vite?
 
Lama Ole: Lo facciamo di continuo: gli auspici, le azioni e sopratutto la nostra visione le determinano.